Scrivo queste righe seduto a un tavolo in un piccolissimo villaggio del Nepal rurale, a circa tre ore di jeep da Kathmandu, dove sono tornato per la terza volta, a distanza di due mesi dall’ultimo viaggio in questa terra meravigliosa che sto iniziando a conoscere un pochino e ad amare per i colori, i sorrisi, il calore della gente e le mille contraddizioni, tipiche di molti posti di ogni “altrove” del mondo! Qui, grazie al patrocinio di una onlus italo-nepalese fondata anni fa dopo il terremoto che devastò questo paese, schiacciato tra la catena hymalaiana e l’immensa India sottostante, alcuni anni fa è stato costruito un centro medico, il Bodgaun Medical Center (BMC); e qui un paio di anni fa è iniziata la mia avventura di farmacista da un’altra parte di quel mondo in cui sono abituato a lavorare….qui, nel bel mezzo del nulla, come ha detto un ortopedico conosciuto durante un campo medico proprio in questo villaggio due mesi fa. Rispetto alla volta scorsa, sono venuto in Nepal con un professore universitario della facoltà di medicina di Tor Vergata a Roma che collabora a questo progetto da circa tre anni e con cui avevo avuto modo di condividere le esperienze e le sensazioni emerse dalla mia precedente esperienza. Insieme a noi quattro giovani (tre studenti della facoltà di medicina e una dottoressa neolaureata), partiti carichi di entusiasmo e voglia di vivere appieno una esperienza straordinaria. In tutti noi il desiderio di condividere con le persone che lavorano stabilmente al BMC (ragazzi nepalesi) le conoscenze accumulate in anni di esperienza professionale e di studi accademici. Non siamo venuti per fare noi il lavoro al posto loro…..siamo qui per mostrare loro come poter svolgere al meglio la loro professione e come ottimizzare le risorse a loro disposizione….in altre parole siamo qui per insegnare qualcosa che noi abbiamo avuto la fortuna (e anche la capacità di apprendere).
Ho sempre pensato che tra le varie responsabilità di un operatore sanitario debba esserci anche quella di assumersi l’onere (e l’onore…) di condividere le proprie conoscenze (è un privilegio aver potuto dedicare anni della propria giovinezza a studiare e formarsi professionalmente), di educare le persone, di provare ad aiutarle a capire cosa sia meglio ed opportuno fare nelle diverse circostanze, siano esse per un problema di salute manifesto oppure per tentare di ridurre quanto più possibile il rischio di svilupparne uno. In questi ultimi due anni in particolare, credo che per noi farmacisti si sia presentata l’enorme opportunità di far crescere e prosperare ulteriormente il nostro ruolo di educatore sanitario e di riferimento sul territorio; siamo un anello della catena del sistema sanitario come altri, ma a differenza di molti altri lavoriamo a contatto diretto e quotidiano con la gente. Peraltro, a dire la verità, proprio per questo aspetto del nostro lavoro, dovremmo essere sempreeducatori….perchè questa è la enorme fortuna che noi farmacisti possiamo dire di avere rispetto a molti altri: se ci mostriamo disponibili, la gente si rivolge a noi, e noi possiamo e dobbiamo essere dei punti di riferimento! Cosa ha a che fare questa idea di educatore con la mia presenza qui in Nepal, o con quella dello scorso anno in Benin (Africa)? Molti anni fa mi capitò di sentire una frase, rimasta impressa nel cuore e nella mente, e che in questa “avventura” di missioni-lampo nei paesi del terzo mondo è diventata la mia luce-guida: se qualcuno ha fame non dargli il pesce ma insegnagli a pescare. Cosa posso dare io a queste popolazioni? Ha senso che venga qui a svolgere un lavoro, posto che sono arrivato da pochi giorni e posto che mentre escono queste pagine sarò già sulla via del ritorno a casa e al mio lavoro? Ha senso….perchè c’è sempre senso quando il tempo condiviso con altre persone è dedicato ad una delle cose più belle che si possano fare nella vita: EDUCARE.
Le missioni-lampo come operatore sanitario
, Questa avventura di missioni-lampo in realtà disagiate e lontane è iniziata poco più di due anni fa: venni infatti a conoscenza dell’opportunità di partecipare, insieme ad un gruppo di volontari provenienti da diverse parti d’Italia e da diverse realtà professionali, ad una missione umanitaria in un villaggio del Nepal, organizzata da Time4life, una fondazione che da anni costantemente porta con sé volontari in diverse realtà del mondo, sempre al servizio degli ultimi, in particolare dei bambini. In questo villaggio, distrutto qualche anno fa dal terremoto, JAY NEPAL sta cercando di portare avanti un progetto di ricostruzione, per un nuovo e diverso futuro; fulcro del villaggio è il BODGAUN MEDICAL CENTER, fortemente voluto, faticosamente costruito ed inaugurato nel 2018. In quanto farmacista, ho proposto agli organizzatori di poter dare il mio contributo, sia raccogliendo materiale sanitario prima di partire, sia, una volta arrivato in luogo, lavorando direttamente con i professionisti nepalesi, partecipando attivamente ad alcune attività, tra le quali un PEDIATRIC CAMP in un villaggio a circa un’ora di cammino da dove eravamo alloggiati, lo stesso tipo di iniziativa che abbiamo organizzato per uno dei giorni di questa missione, densa di attività educative! Non avevo precisamente idea di cosa avremmo vissuto, di come poter dare il mio contributo a questa che è stata un’esperienza davvero incredibile; sapevamo che i cancelli dell’health post del villaggio di Bhimtar si sarebbero aperti lasciando libero accesso a una vera fiumana di donne con i loro bambini di ogni età, bisognosi di essere visitati dai medici presenti, coadiuvati dal personale infermieristico e dall’azione instancabile di decine di volontari, deputati all’arruolamento dei pazienti ed alla rilevazione dei principali parametri vitali, come altezza, peso, pressione, saturazione, glicemia, temperatura corporea. I giorni precedenti eventi come questo sono e devono essere febbrilmente dedicati all’organizzazione, e ogni volta si fa tesoro dell’esperienza vissuta la volta precedente per fare in modo di rimediare agli errori che inevitabilmente si commettono e migliorare sempre più il livello del servizio offerto alla gente. Tutto questo richiede impegno, organizzazione e dedizione: i ragazzi nepalesi si sono dimostrati, ora come allora, davvero molto volenterosi e disponibili, mettendo in gioco tutte le loro risorse umane per sopperire alla fisiologica inesperienza e alla inevitabile carenza nella mentalità organizzativa, che a noi occidentali viene inculcata fin da giovani. Abbiamo tutti lavorato instancabilmente, ognuno mettendo al servizio della causa comune ciò che aveva a disposizione, sia umanamente che professionalmente. Esperienze come queste possono entrarti talmente in profondità da non uscirne più…ed è quello che è capitato a me, alimentando sempre più la voglia di aiutare queste persone, giovani professionisti sanitari locali, ad aiutare sè stessi e la loro gente.
Cosa si può fare?
Come detto, le sensazioni vissute in quel giorno del camp e nei giorni della prima missionehanno messo radici profonde: come poter mettere a punto al meglio le prossime esperienze?come poter dare il mio contributo per creare un servizio (più esteso possibile e meno limitato ad eventi sporadici ed eccezionali) all’altezza della situazione per una popolazione che, rispondendo così bene a queste iniziative, dimostra di sentirne il bisogno e di viverle come una opportunità (e nelle tre esperienze in Benin ho potuto rilevare esattamente la stessa cosa)?Raccogliere materiale (e lo abbiamo fatto, grazie alla enorme generosità delle tantissime persone che aderiscono da due anni a questa parte alle iniziative che di volta in volta organizzo al mio paese) non basta, se poi chi riceve quanto raccolto non ha gli strumenti, la formazione professionale e il rigore mentale per gestirli al meglio.
Un amico conosciuto durante una delle missioni, al ritorno a casa ha scritto una frase paradossale che mi piace moltissimo: “fare del bene donando agli altri è una delle più alte forme di egoismo, perchè quanto diamo nel concreto non è minimamente paragonabile a quanto riceviamo nel profondo”! Penso che il sorriso delle persone, che pazientemente per ore ha atteso il proprio turno in ogni campo medico cui ho partecipato, in Nepal così come in Benin, prima per essere visitate e poi per ritirare i medicinali nelle piccole farmacie di volta in volta allestite, ha illuminato giornate memorabili e scaldato i nostri cuori nel profondo. Da tutte le parti in giro per il mondo, anche qui da noi, nel nostro mondo apparentemente ipercivilizzato, esistono realtà di bisogno….ovunque, ogni giorno; forse ognuno di noi potrebbe provare a cercare nel proprio correre quotidiano un momento per guardarsi intorno e capire come poter aiutare chi ha bisogno: ho avuto la fortuna di poter vivere esperienze travolgenti, di essere stato parte di un bellissimo ingranaggio in cui convogliare vent’anni di professione. Ogni volta ho ricevuto sorrisi, gratitudine, applicazione, impegno, soprattutto fiducia….e sì, ha ragione il mio amico, ho ricevuto più di quanto in pochi giorni ho potuto dare.
Progetto-Nepal
Nel concreto, in questi mesi qui in Nepal, ci stiamo dedicando a mettere a punto tutto quanto riguarda le attività del centro medico e la sfera sanitaria del progetto di Jay Nepal, organizzando al contempo seminari informativi per i ragazzi delle scuole, volti ad aumentare sempre più la loro consapevolezza riguardo problematiche molto diffuse come alcoolismo, ipertensione, malattie sessualmente trasmissibili. In modo particolare, i prossimi mesi per me saranno dedicati a sviluppare un minuscolo prototipo di farmacia, esterno al centro medico, ma in diretta collaborazione con esso, con l’obiettivo nel prossimo futuro (se il progetto riuscirà a proseguire….non ci sono mai certezze in realtà come queste) di aprirne altre in altri villaggi vicini, dove non c’è un centro medico come quello presente qui a Bodgaun, e dove davvero la salute viene considerata come un elemento di secondo piano. L’idea non è molto diversa da quella che nel corso dei decenni passati ha portato all’apertura dei dispensari in località sperdute nelle nostre valli. Le farmacie possono essere, prima ancora che dei distributori di presidi, dei punti di riferimento per la salute: prevenire prima ancora di dover curare, vero principio ispiratore della cosiddetta farmacia dei servizi , evoluzione della realtà farmacia in cui credo moltissimo. L’idea è quella di aiutare la gente di questi posti ad imparare a prendersi cura di sé stessi e della propria salute, perché proprio questo è il primo ostacolo da dover superare: rendere la gente consapevole che prendersi cura di sé è un loro diritto e possono e devono imparare a farlo al meglio. La dignità di ogni essere umano, in particolare di ogni “ultimo della terra”, merita lo sforzo di provare a fare qualcosa per insegnare loro ciò che non hanno avuto la fortuna di poter conoscere. Donare non basta. “Take care” (“prendetevene cura”): questo ripeto da tempo ai ragazzi che lavorano nel centro medico. Prendetevi cura….di ciò che avete per le mani e di tutti coloro che possono e devono capire di poter affidare a voi la tutela della propria salute!
Comentários