LE DIVERSE FORME FARMACEUTICHE: QUAL È LA LORO IMPORTANZA?
- Farmacia Visini
- 21 mag
- Tempo di lettura: 11 min
Dottore/dottoressa, posso avere una pastiglia per….? Dottore/dottoressa, posso avere una pomata per….? Dottore/dottoressa, mi servirebbe qualcosa per…. cosa posso prendere?
Nella pratica quotidiana, nel lavoro in farmacia, ci capita spesso di rispondere a queste domande, e quasi sempre nell’immaginario collettivo si è portati a pensare che il nocciolo del problema stia nel tipo di farmaco che può essere più indicato, sottintendendo che ci si riferisca principalmente al tipo di medicina, ossia al principio attivo, al farmaco….insomma alla sostanza da usare per affrontare questo o quel disturbo. Eppure, in molti casi, la vera differenza la fa la FORMA FARMACEUTICA, ovvero il veicolo con cui il principio attivo viene confezionato per poter essere somministrato al paziente allo scopo di massimizzarne l’efficacia. In altre parole….quando si parla di farmaco, spesso il COME (la forma farmaceutica) è importante tanto quanto il COSA (il farmaco).
L’argomento è di una vastità incredibile, e nel solo tempo dedicato a pensare alla strutturazione di questo articolo, sono balzati alla mente decine e decine di possibili spunti, provenienti tanto dagli anni di studio quanto da quelli sul campo. Ci perdonerete, dunque, se il testo potrà risultare un po' più lungo del solito….speriamo possa quantomeno risultare interessante!
FARMACODINAMICA E FARMACOCINETICA
Consentiteci, inizialmente, una brevissima digressione per spiegare un paio di concetti di basilare importanza. Quando ci si trova dinanzi ad un paziente che presenta un determinato disturbo, la scelta del miglior rimedio possibile verte intorno a due elementi cardine: la FARMACODINAMICA e la FARMACOCINETICA. Proviamo a spiegare nel modo più semplice possibile in cosa consistono questi due concetti.
Per FARMACODINAMICA si intende il meccanismo d’azione del farmaco, ovvero COME agisce un determinato farmaco, con quali recettori bersaglio si combina (a livello degli organi interessati presumibilmente dal disturbo che il paziente lamenta), quale azione compie e quali reazioni ed effetti genera. Si tratta, in altre parole, del modo in cui il farmaco esplica la sua azione, giustificando la sua scelta e somministrazione al paziente.
Per FARMACOCINETICA, invece, si intende il percorso che il farmaco compie all’interno dell’organismo, suddiviso in successive fasi: assorbimento, distribuzione, raggiungimento del picco plasmatico (e relativo tempo di emivita, ovvero il tempo necessario a raggiungere il dimezzamento della concentrazione massima del farmaco nell’organismo), metabolizzazione ed infine eliminazione. Si tratta, in parole semplici, della “strada” che percorre il farmaco una volta somministrato: la forma farmaceutica scelta incide in modo del tutto significativo su tale percorso.
La tecnica farmaceutica, attraverso lo studio delle varie fasi farmacocinetiche e delle variabili che possono influire in modo significativo su di esse, ha sviluppato numerose e diverse forme farmaceutiche, suddivisibili in prima istanza in due macro-categorie:
FORME AD USO SISTEMICO: compresse, capsule, granulati, da somministrare sia per via gastrica che per via sublinguale (cioè da inghiottire o da lasciar assorbire in bocca, possibilmente sotto la lingua), soft-gel, film ad assorbimento buccale, fiale per uso orale o iniettabile, gocce, sciroppi, supposte, cerotti ad assorbimento transdermico (ad azione non mirata al sito di applicazione)
FORME AD USO TOPICO: creme, unguenti, paste, gel, spray, cerotti ad assorbimento transdermico (sì, possono essere annoverati anche in questa categoria se la loro azione è mirata prevalentemente al sito di applicazione)
Come si può evincere da questi elenchi, le possibili alternative sono davvero molte (e non le abbiamo elencate nemmeno tutte): ciascuna di esse presenta caratteristiche distintive ben precise, ma soprattutto finalità specifiche legate a diverse esigenze terapeutiche. Non entreremo nei dettagli di ogni possibile forma farmaceutica, ma vorremmo provare ad evidenziare alcuni elementi interessanti per aiutare l’utilizzatore finale ad orientarsi un pochino meglio in un panorama così vasto, e a comprendere meglio le ragioni per cui alcuni farmaci vanno assunti in un modo e non in un altro.
In generale, preliminarmente, potremmo dire che il criterio principale da seguire nella scelta della migliore forma farmaceutica, sia in fase di progettazione del farmaco, sia al momento della dispensazione e somministrazione al paziente, è il seguente: massimizzare gli effetti con la minor dose iniziale possibile di farmaco, mantenendo l’azione il più a lungo possibile e minimizzando gli effetti avversi e gli sprechi. Eh, tutt’altro che semplice….perchè in questa frase sono racchiusi tutti gli step della vita di un farmaco nel nostro organismo sia in termini di Farmacodinamica (azione del farmaco ed effetti avversi) sia in termini di Farmacocinetica (distribuzione mirata là dove il farmaco deve agire, mantenimento di una dose minima efficace per un tempo più lungo possibile, rallentamento della metabolizzazione, il che significa mantenimento dell’integrità del farmaco stesso, ed eliminazione senza interferenza con altri organi non interessati dall’azione farmacologica desiderata).
Ciò premesso, come scegliere allora la miglior via di somministrazione di un farmaco? Quando si sceglie una forma farmaceutica ad uso sistemico e quando una ad uso topico? Come ci si orienta nel panorama così vasto? Proviamo a fare luce su alcuni aspetti.
La principale differenza tra le due macro-categorie indicate sopra sta nel fatto che nel caso delle forme ad uso sistemico il farmaco mira ad essere distribuito in tutto il corpo (attraverso il torrente circolatorio sanguigno) mentre nel secondo caso viene per lo più concentrato in un particolare punto ed esplica la sua azione in modo mirato in una parte del corpo a contatto con l’esterno (tutta la pelle ma anche le mucose come quella orale…..ad esempio gli spray per il mal di gola).
Tuttavia, questo non è sempre vero; giova infatti fare subito una precisazione che a prima vista può sembrare complessa ma che in realtà, una volta spiegata attraverso alcuni esempi, tale non è: alcune forme farmaceutiche ad APPLICAZIONE TOPICA non sono realizzate per USO TOPICO…..cioè vengono applicate localmente in una parte del corpo a contatto con l’esterno ma non agiscono selettivamente in quel punto. Come è possibile e che senso ha tutto questo? E’ il caso di alcuni cerotti transdermici, applicati localmente ma in grado di rilasciare un farmaco che, una volta attraversata la barriera cutanea ed entrati nello strato sottostante (il derma), si diffondono e si distribuiscono attraverso il sistema circolatorio in tutto il corpo; esempio tipico sono i cerotti contenenti sostanze oppiacee, formulati per la terapia del dolore e destinati ad agire a livello dei recettori del dolore localizzati a livello cerebrale, oppure quelli contenenti Nitroglicerina, utilizzati per patologie (tipicamente l’Angina pectoris) cardiache. Perché si sceglie questo genere di formulazione? Non sarebbe più semplice assumere una compressa o qualche altra forma per via orale? Esistono altre forme farmaceutiche contenenti lo stesso farmaco o la sola via di somministrazione è quella transdermica? Come si sceglie? Tutte domande assolutamente legittime….la risposta si può trovare nel criterio generale esposto sopra: la scelta della migliore forma farmaceutica è la risultante della combinazione di diversi elementi allo scopo di ottenere, volta per volta, l’effetto terapeutico più efficace ed opportuno. Facciamo un paio di esempi concreti che aiutano a capire meglio: nel caso delle sostanze oppiacee ad azione antidolorifica (Fentanil, tipicamente), sceglierò un cerotto transdermico quando l’obiettivo sarà il controllo del dolore in modo costante e graduale perché con tale forma farmaceutica il rilascio e la distribuzione del farmaco sono mantenuti in modo regolare per un tempo più prolungato, mentre somministrerò una compressa ad assorbimento buccale (via di assimilazione molto rapida) quando avrò l’obiettivo di lenire un improvviso picco di dolore acuto. Allo stesso modo, i cerotti transdermici contenenti nitrati (famiglia di farmaci impiegata in alcune patologie cardiache) potranno essere indicati per evitare il sovraccarico del cuore rilasciando il principio attivo gradualmente per alcune ore, ma in caso di dolore acuto causato da angina lo stesso farmaco potrà essere somministrato per via sublinguale, ottenendo una rapida insorgenza d’azione ed altrettanto rapida eliminazione della sostanza. Da queste considerazioni emerge un’ulteriore importante indicazione da tenere in assoluta considerazione e verso cui prestare la massima cautela: per quanto una formulazione transdermica sia tecnicamente allestita per trattare un disturbo localizzato, per cui non sia attesa una significativa e diffusa distribuzione nel torrente circolatorio, non si può essere certi che una quotaparte del farmaco non si diffonda in diversi distretti dell’organismo, creando in tal modo i presupposti per avere effetti avversi non desiderati.
Da quanto detto emerge un ulteriore importante spunto: uno stesso farmaco (uno stesso principio attivo) potrebbe essere formulato in diverse modalità a seconda dell’obiettivo terapeutico prefissato e a seconda del livello cui vogliamo che agisca; uno degli esempi più eclatanti è un farmaco come il Diclofenac (appartenente alla categoria degli antinfiammatori) presente in commercio in diverse forme, alcune appartenenti alla prima categoria (compresse, fiale, supposte), altre alla seconda (creme-gel, cerotti transdermici, spray ad uso esterno). Appartenendo alla famiglia degli antinfiammatori, il Diclofenac può dunque essere indicato per aiutare a combattere stati dolorosi, ma a seconda del grado e della localizzazione del disturbo, della rapidità di azione richiesta e a seconda anche dei possibili effetti avversi o delle possibili interazioni con altre terapie già in corso, si potrà optare per una delle tante forme farmaceutiche disponibili: è del tutto inopportuno optare per una compressa a rilascio graduale se ho necessità di trattare uno episodio acuto (nel qual caso le fiale per via iniettabile sono più indicate perché consentono il raggiungimento di una più alta concentrazione in circolo in un minor tempo), così come è assolutamente preferibile una forma farmaceutica che rilasci il farmaco lentamente e per un tempo più prolungato possibile quando il paziente viene trattato per un disturbo cronico. In generale, anche se questa non è una regola sempre valida, ad una più ampia distribuzione nell’intero organismo corrisponde un maggior rischio di effetti avversi e di interazioni con altre terapie: in altre parole, laddove esistano questi rischi, è preferibile, qualora possibile, ridurre la distribuzione mirando l’azione nel distretto interessato. Ovviamente questo non è sempre possibile.
Un altro elemento che incide in modo significativo nella progettazione delle diverse forme farmaceutiche è la natura chimico-fisica di un farmaco: non tutte le sostanze possono essere formulate nella stessa maniera. Ad incidere in modo significativo, per esempio, può essere l’idrosolubilità (capacità di sciogliersi in soluzioni acquose) o la liposolubilità di una molecola (capacità di sciogliersi in matrici grasse con pochissima acqua o addirittura in condizioni di assenza di acqua): non posso formulare un gel acquoso ad uso topico o una soluzione (gocce o sciroppi) per via orale oppure ancora una soluzione iniettabile per via endovenosa se il farmaco non si scioglie in acqua o non è stabile in soluzione acquosa.
Il discorso potrebbe proseguire molto a lungo perché, come credo possiate avere capito, gli elementi da tenere in considerazione e le possibili variabili che possono influire sono tali e tante che condensarle tutte in un articolo è pressochè impossibile.
Ci sono tuttavia un paio di argomenti che meritano un approfondimento un pochino più attento: le cosiddette “pomate” e le cosiddette “pastiglie”.
POSSO AVERE UNA POMATA PER….?
Quando nell’immaginario collettivo si parla genericamente di pomate ci si riferisce a diverse forme farmaceutiche da applicare sulla cute: creme, latti, unguenti, gel, lipo-gel, emulgel, paste. Sono tutte preparazioni solide o semi-solide (più o meno fluide e dense) destinate ad essere applicate sulla cute. Differiscono tra loro a seconda della composizione, della qualità e quantità dei diversi eccipienti utilizzati per formularle e della quantità di acqua presente: si va infatti da forme ad altissima prevalenza acquosa (i gel possono superare il 90%) a forme del tutto anidre (unguenti o paste), passando attraverso creme a percentuale variabile. Normalmente gli elementi costitutivi di una preparazione appartenente a questa categoria sono tre:
Acqua, come detto presente in percentuale variabile da 0 a oltre il 90%
Lipidi, ovvero sostanze grasse, come la Vaselina, la Lanolina, gli olii minerali o vegetali, le cere, ecc..
Emulsionanti, ovvero i cosiddetti “leganti” che consentono di miscelare in modo stabile gli elementi delle prime due categorie, altrimenti non miscibili tra loro: pensiamo ad un esempio molto semplice….se in un contenitore domestico uniamo acqua e olio, si stratificheranno uno sopra l’altra a seconda della diversa densità ma non potranno mescolarsi creando quella che si definisce una emulsione.
Gli emulsionanti meritano un minimo di approfondimento: sono sostanze strutturalmente costituite da una parte idrofila in grado di legare l’acqua e una parte lipofila in grado di legare i grassi, creando un prodotto finito omogeneo e stabile (una crema, appunto) in grado di penetrare gli strati superficiali della cute (l’epidermide) che sono costituiti da una matrice idrolipidica (una parte acquosa e una parte grassa): la sola acqua o i soli grassi non sono in grado di penetrarla, non possono raggiungere il derma sottostante e quindi non possono veicolare nel derma stesso i principi attivi eventualmente contenuti.
A volte ci è capitato di dover chiarire alcuni fraintendimenti in merito a questi argomenti, sicuramente non del tutto semplici né scontati. Talvolta, per esempio, qualche paziente si è presentato con la richiesta di Vaselina per “idratare la pelle molto secca”. Ma questo è chiaramente impossibile, poichè non si può IDRATARE (cioè arricchire di acqua) utilizzando qualcosa, come la Vaselina pura, che di acqua ne è del tutto priva! Idratare senza acqua? Apparentemente insensato! Eppure c’è una spiegazione che sta a noi farmacisti fornire: l’utilizzo di unguenti fortemente grassi aiuta i pazienti nel trattamento di stati di estrema secchezza cutanea poiché tali rimedi creano una sorta di barriera che impedisce la naturale traspirazione cutanea e la conseguente perdita di liquidi attraverso i pori. Il risultato che ne consegue è una riduzione della perdita di acqua e conseguentemente una maggiore idratazione complessiva della cute. E’ chiaro, tuttavia, che lo stesso risultato di maggiore idratazione potrebbe essere ottenuto applicando creme ad alto potere idratante (percentuale di acqua molto alta), fornendo l’acqua dall’esterno evitando di bloccare la fisiologica traspirazione della cute. Risulta a questo punto chiaro che lo sviluppo di tecniche volte ad allestire forme farmaceutiche più idonee consente un più proficuo trattamento delle problematiche che i pazienti manifestano e una migliore veicolazione dei principi attivi eventualmente ritenuti di interesse.
POSSO ROMPERE O MASTICARE LA PASTIGLIA?
La risposta a questa domanda è, come spesso capita, dipende….principalmente dalle caratteristiche della forma farmaceutica in questione, perché di fatto non tutte le cosiddette “pastiglie” (genericamente intese come farmaci solidi di forma più o meno tondeggiante da inghiottire e deglutire) sono uguali. Le formulazioni per via orale sono infatti probabilmente quelle che nel corso degli anni sono state maggiormente oggetto di studio per migliorare via via sempre più gli effetti delle terapie somministrate. Un tempo tali formulazioni si suddividevano essenzialmente in capsule (polveri racchiuse in un involucro di gelatina) e compresse (ottenute per compressione diretta di una polvere costituita da miscela di farmaco ed eccipienti opportunamente selezionati allo scopo). In entrambi i casi la strutturazione della forma farmaceutica era tale da non risentire della eventuale triturazione della compressa o apertura della capsula per facilitare l’assunzione del farmaco da parte di pazienti che avessero difficoltà di deglutizione. La compressa una volta assunta si disgregava per lo più a livello gastrico, esattamente come la capsula il cui involucro esterno veniva disciolto dai succhi gastrici fortemente acidi. Il farmaco veniva rilasciato, assimilato nel circolo sanguigno dove raggiungeva la massima concentrazione (picco plasmatico) per poi venire veicolato nei distretti-bersaglio per esercitare la propria azione, a seguito della quale progressivamente veniva metabolizzato, trasformato negli elementi di scarto ed escreto. Questo processo è rimasto assolutamente inalterato, ovviamente, dato che è la realizzazione del percorso farmacocinetico di ogni farmaco nel nostro organismo; tuttavia, nel corso dei decenni la tecnica farmaceutica si è affinata per cercare di allestire preparati in grado di avere una migliore efficacia terapeutica.
Tutto questo attraverso alcuni obiettivi primari:
mantenere una concentrazione minima efficace di farmaco il più a lungo possibile
veicolare il farmaco in modo intatto nel distretto in cui l’assorbimento è massimale
Il conseguimento di questi obiettivi passa attraverso la creazione di forme farmaceutiche la cui integrità deve essere conservata. Tali farmaci, pertanto, non possono assolutamente né essere tritati né essere masticati, pena la perdita delle proprietà per cui sono stati allestiti. Potremmo fare molti esempi, ma per semplicità prendiamone uno particolarmente significativo. Una compressa a rilascio graduale può garantire che la concentrazione del farmaco resti costante per un tempo prolungato (e quindi tale resti anche la sua azione farmacologica) solo se viene conservata integra fino al momento dell’assunzione da parte del paziente, e solo se tale assunzione rispetta le indicazioni del produttore. Alterando l’integrità della forma farmaceutica, si altera la struttura che regola il rilascio della corretta dose nell’unità di tempo: il primo rischio che ne consegue è il raggiungimento precoce di una concentrazione molto superiore a quanto desiderato, e successivamente il rapido declino della quantità disponibile del farmaco stesso. L’azione farmacologica cambia in modo significativo e con essa gli effetti terapeutici.
Recentemente ci è capitato di dover affrontare un problema sollevato da un paziente, in terapia con un farmaco antiepilettico formulato in granulato a rilascio modificato, ovvero in grado di mantenere una concentrazione graduale e costante per un tempo prolungato, assunto una sola volta al giorno. Dato però che nelle feci del paziente si erano ritrovati alcuni granuli di farmaco non intaccati, è stato ipotizzato un possibile malassorbimento di tale forma farmaceutica, ed è stato suggerito al paziente (che presenta problemi molto seri di deglutizione) di passare alle compresse a dosaggio dimezzato rispetto al granulato iniziale, anch’esse peraltro realizzate nella forma a rilascio modificato, due volte al giorno. Apparentemente la dose somministrata è rimasta la stessa, ma l’azione farmacologica e l’efficacia terapeutica potrebbero risultare differenti, poiché risulta cambiato l’andamento della concentrazione plasmatica del farmaco, decisamente più alta poco dopo la somministrazione ma destinata a discendere precocemente al di sotto della dose minima efficace. Da un punto di vista farmacologico, questa scelta potrebbe non garantire la medesima efficacia terapeutica.
Il discorso potrebbe proseguire ancora molto a lungo, dato che l’elenco delle possibili altre casistiche è davvero amplissimo. Speriamo che il messaggio che può essere giunto sia che l’argomento è di tale complessità da richiedere una attenzione particolare seguendo le indicazioni del personale specializzato.
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