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MA PERCHÉ DEVO ASSUMERE PROPRIO QUESTO FARMACO SE HO QUESTO PROBLEMA DI SALUTE?

“Dottore…..dottoressa…..ho questo disturbo….non sto bene e ho questi sintomi….va bene se prendo questo farmaco?”

Perché per determinati disturbi ha senso prendere un determinato farmaco e non un altro? La risposta è talmente ovvia che qualcuno potrebbe stupirsi di leggere questo incipit: la ragione è dovuta al fatto che è proprio questo farmaco e non un altro che agisce nel nostro organismo combattendo quel determinato sintomo!! Ovvio, no?!?!? Eppure, nel corso della carriera di qualunque operatore sanitario, sia esso medico o farmacista, è capitato certamente più di una volta di sentirsi raccontare da un paziente di aver assunto un farmaco senza la reale consapevolezza di cosa stesse assumendo. Talvolta, peraltro, da farmacisti (che per la definizione stessa del termine sono e devono essere professionisti specializzati del farmaco) ci capita di restare perplessi dinanzi a quanto i pazienti riferiscono di aver compreso relativamente alle terapie loro prescritte: probabilmente non hanno compreso appieno il perché siano state loro prescritte alcune medicine, e questo può generare non solo spaesamento e confusione ma anche, se non soprattutto, conseguenze spiacevoli per la salute dei diretti interessati.

Ecco dove interviene, o dovrebbe quantomeno intervenire, la professionalità di un farmacista! Non è minimamente mia intenzione fare uno spot alla professione, sia chiaro, anche perché ciò che intendo evidenziare dovrebbe essere un elemento imprescindibile della professione: i professionisti sanitari, ed in particolare i farmacisti, non possono non avere chiaro il meccanismo d’azione di un farmaco, e sulla base di questa consapevolezza devono fornire ai pazienti le informazioni più complete e comprensibili possibili, altrimenti si incorre in almeno due rischi:

  • Insuccesso terapeutico

  • Incremento degli effetti avversi


Apro una parentesi: giova ricordare che una regola fondamentale della comunicazione (a qualsiasi livello essa si realizzi) è che chi comunica qualcosa a qualcuno (che ovviamente dovrebbe prestare adeguata attenzione) è responsabile in modo prioritario del fatto che chi riceve una determinata informazione la riceva e comprenda in modo corretto: in altre parole, se io spiego qualcosa a qualcuno e quel qualcuno non ha capito, la mia comunicazione è stata inefficace e deficitaria….la sola cosa che può evitare o quantomeno ridurre al minimo questo deficit è accertarsi che ciò che ho spiegato sia stato compreso. Ovviamente il rischio di una comunicazione deficitaria in ambito sanitario è fortemente influenzato dal fatto che gli argomenti trattati sono spesso molto tecnici e non semplici da decrittare appieno; una prima soluzione che può essere efficace, a mio modo di vedere, è quella di ricorrere ad esempi tratti dal vissuto quotidiano che possano assimilarsi ai concetti scientifici.


Non è ovviamente questo il contesto in cui addentrarci nei meandri della farmacologia; non si può tuttavia dimenticare un fondamentale concetto: qualsiasi sostanza, sia essa un farmaco di sintesi (il famigerato (?!?) “chimico”…), sia essa un prodotto di derivazione naturale, è caratterizzata da ben precise strutture molecolari, e una volta assunta compie delle azioni che determinano delle risposte nel nostro organismo; queste risposte sono la conseguenza diretta di una reazione chimica (noi funzioniamo attraverso un’infinità di reazioni chimiche!!) a seguito della combinazione tra le strutture molecolari della sostanza introdotta e quelle di specifici recettori presenti dentro di noi…..un po' come una chiave e la sua serratura!

Ora, la fisica, ovvero la scienza che studia come funziona tutto l’universo, ci dice che OGNI azione determina una reazione (o meglio…..una cascata di reazioni), prevedibile e in molti casi misurabile, ma con una percentuale imponderabile di conseguenze dovute alla infinita variabilità che rende ogni individuo unico e irripetibile: in altre parole, ad ogni assunzione di una qualsiasi sostanza in grado di interagire con il nostro organismo (qualsiasi!!), seguiranno effetti previsti (quelli terapeutici) ed effetti indesiderati e a volte inattesi (quelli collaterali), il tutto in modo non del tutto prevedibile perché ognuno è unico.


Sapere come funziona un farmaco, saperlo BENE, è la sola cosa che può consentire di provare a ridurre questo margine di effetti avversi al minimo possibile, massimizzando al contempo gli effetti attesi. Saperlo da parte degli operatori è fondamentale....ma non basta; bisogna infatti fare tutto il possibile perché i pazienti siano DAVVERO informati nel modo migliore possibile, soprattutto perché nella maggior parte dei casi, soprattutto per terapie somministrate per sintomatologie e disturbi che si presentano occasionalmente e non in modo cronico e continuativo, ai pazienti vengono dispensate quantità di farmaco superiori alle necessità del momento preciso; in altre parole, se una confezione di un farmaco, per esempio un antinfiammatorio per un mal di schiena improvviso, contiene trenta pastiglie ma al paziente per curare il disturbo ne bastano magari solo dieci, è chiaro che nella casa del paziente stesso ne resteranno una ventina non usate…..e che magari potranno venire usate in automedicazione in altre circostanze….a volte in modo opportuno, a volte, ahimè, in modo non opportuno, nonostante ogni confezione contenga foglietti illustrativi pieni zeppi di informazioni.


Mentre sto scrivendo mi trovo a lavorare in una farmacia ospedaliera di un villaggio del Nepal rurale, dove è legalmente consentita (come in molte altre parti del mondo) una pratica assolutamente molto preziosa: il “deblistering”, ovvero la possibilità di consegnare al paziente solo le unità posologiche corrispondenti alla terapia prescritta di volta in volta: se il paziente deve assumere una pastiglia due volte al giorno per cinque giorni, il farmacista consegnerà 10 pastiglie! In mancanza di questa opportunità, diventa fondamentale l’interazione con il paziente da parte tanto del medico quanto del farmacista: 

  • Spiegare in modo chiaro e preciso e dettagliato come e perché un farmaco agisce e in che modo va assunto

  • Raccomandare di evitare assolutamente l’autocura o la cura suggerita da un parente/amico/google


Ci potrebbero essere tantissimi esempi di quanto a volte non approfondire il meccanismo di azione di un farmaco può creare confusione e abuso, nella doppia accezione dell’uso eccessivo ma anche non opportuno. Oggi vorrei citarne un paio: 

  • i “gastroprotettori” (volutamente scritto virgolettato), i cosiddetti “-prazoli”, definibili più correttamente Inibitori di Pompa Protonica (PPI), il cui uso eccessivo è un problema estremamente diffuso (anche qui in Nepal, peraltro, dove sono talmente entrati nell’uso comune che a volte mi è capitato di vederlo somministrare o prescrivere in situazioni del tutto senza senso…in un caso addirittura in modo paradossale associata ad ovuli vaginali antimicotici e antibatterici!). 

  • Paracetamolo vs FANS (antinfiammatori di uso comune), a volte intesi come due possibili alternative ad azione sovrapponibile


Iniziamo dal primo punto. Non me ne vogliano medici prescrittori e colleghi, ma dopo tanti anni di professione mi trovo a constatare quanto crescente sia l’uso di farmaci di questa categoria, quasi fossero diventati un corollario imprescindibile di ogni terapia in atto. Questo, peraltro, è quello che molte persone hanno compreso….ed è, perdonatemi, un’interpretazione eccessiva per non dire che è falsa: “dottore, devo prendere un gastroprotettore perché assumo diversi farmaci”….questo concetto non è corretto, quantomeno non lo è relativamente agli Inibitori di Pompa Protonica (in breve, PPI).


Recentemente le autorità sanitarie hanno, infatti, iniziato a richiamare gli operatori sanitari ad una più attenta e prudente valutazione circa l’opportunità di prescrivere questi farmaci considerando la modalità ad oggi raggiunta…..cioè troppo! Non è ancora una volta la sede per entrare nel dettaglio, ma forse vale la pena sottolineare un elemento legato strettamente a come agiscono queste molecole che non proteggono di fatto alcunché, quantomeno non in modo diretto. La cosiddetta presunta “protezione gastrica” attuata da questi farmaci, analizzando in modo attento il loro meccanismo d’azione, si realizzerebbe attraverso l’inibizione del fisiologico processo grazie a cui durante il processo digestivo lo stomaco raggiunge il giusto livello di acidità necessario alla digestione dei cibi. I -prazoli sono infatti degli “inibitori della pompa protonica”, ovvero rallentano o addirittura bloccano questo processo; la mucosa gastrica non risulta realmente protetta, semplicemente viene ridotta l’acidità fisiologica all’interno dell’ambiente gastrico, effetto questo fondamentale in alcune circostanze ma non certo in tutte, anche perché alterare una condizione fisiologica non può essere, soprattutto nel lungo periodo, privo di conseguenza. Se tuttavia un paziente deve ricorrere ad una terapia antinfiammatoria prolungata, la contestuale assunzione dei -prazoli è importantissima poiché uno degli effetti avversi degli antinfiammatori è di bloccare un altro processo fisiologico molto prezioso, ovvero la produzione di una famiglia di sostanze chiamate Prostaglandine, in grado di creare la naturale fisiologica barriera protettiva gastrica. Se devo assumere un farmaco che blocca la produzione di questa barriera, è chiaro che il mio stomaco risulterà meno difeso, meno fisiologicamente protetto, per cui ridurre l’acidità del suo contenuto diventa assolutamente opportuno: una mucosa gastrica non protetta soffre l’eccesso di acido!!. Esemplificando in modo magari banale, se la solidità degli scudi difensivi della mia guarnigione di soldati scende drasticamente ai livelli di fogli di carta velina, devo mirare a “spuntare” le armi dei miei aggressori cosicchè i loro assalti facciano meno male!! Attenzione però a non fare confusione e a non fare di tutta l’erba un fascio: l’uso dei -prazoli non è opportuno se tra i farmaci che sto assumendo non ci sono effetti sulla naturale protezione o non ci sono molecole marcatamente acide. Come detto, alterare un processo fisiologico comporta conseguenze: se è necessario e opportuno, è bene assumere questi farmaci, se non lo è, si rischiano conseguenze probabilmente evitabili. Questa è, ovviamente, la mia opinione di farmacista. 


Un altro esempio interessante è quello del rapporto tra il Paracetamolo e gli antinfiammatori di uso comune (Ibuprofene, Ketoprofene, Nimesulide, Diclofenac, ecc…..quelli, peraltro, cui facevo cenno poco fa parlando dei prazoli): agiscono in modo simile? Sono sostanzialmente un’alternativa l’uno agli altri? La risposta è NO. Hanno meccanismi d’azione del tutto differenti, strutture e natura chimica diverse (i FANS sono chimicamente acidi, il Paracetamolo basico) per cui vanno intesi come potenziali farmaci utilissimi se usati in modo sinergico, ovvero in grado di darsi una mano l’un l’altro. Appartenendo a diverse famiglie ed agendo in modo differente, hanno indicazioni differenti ma anche effetti avversi diversi, nonché differenti indicazioni sulle avvertenze da seguire nella loro assunzione (non ci sono controindicazioni all’assunzione del Paracetamolo a stomaco vuoto, per esempio, mentre nel caso dei FANS – che sono molecole acide, quindi potenzialmente in grado di creare bruciore gastrico, non è opportuno assumerli senza aver mangiato perché mangiando si attiva la produzione di sostanze che proteggono la mucosa gastrica stratificandosi su di essa). 

Domanda: Il Paracetamolo è un antinfiammatorio come, ad esempio, l’Ibuprofene? Assolutamente no!

“Eppure- qualcuno potrebbe obiettare – se ho mal di schiena, posso pensare di assumere l’uno o l’altro….faccio bene?” La risposta è DIPENDE….da quale obiettivo mi pongo nel momento in cui scelgo un farmaco o un altro.

Il Paracetamolo è prettamente antidolorifico, mentre l’Ibuprofene è un antinfiammatorio. Due cose diverse per due obiettivi diversi. 


Se la mia attenzione è sul dolore da lenire, probabilmente meglio assumere il Paracetamolo che ha la capacità di agire sulla percezione del dolore a livello cerebrale (cioè: la mia schiena è infiammata, magari qualcosa non è del tutto a posto, ma io non sento i messaggi di “ahi che male” che arrivano dalla parte dolente perché le linee di comunicazione sono interrotte dal Paracetamolo!); se invece il mio obiettivo è combattere cause e condizioni che generano il dolore, meglio un antinfiammatorio che agisce sulla condizione di infiammazione della mia povera schiena, posto che tra le diverse manifestazioni di un processo infiammatorio, insieme a gonfiore, rossore e calore, c’è anche il dolore! Comprendendo questo concetto, si capisce a questo punto perché può avere assolutamente senso assumerli contemporaneamente, addirittura in modo combinato nella stessa pastiglia (consuetudine, questa, relativamente poco diffusa da noi ma piuttosto consolidata da tempo in molti paesi, tra cui il Nepal di cui parlavo poc’anzi). La cosa assolutamente fondamentale è comprendere il motivo basandosi sui meccanismi di azione.


Di esempi come questo ne potremmo citare una quantità davvero numerosa. Il panorama delle possibili terapie e il novero dei rimedi a disposizione dei pazienti sono davvero amplissimi.  Il concetto fondamentale ancora una volta è: conoscere per poter sapere cosa fare di volta in volta dinanzi a un disturbo o a una prescrizione è un diritto ma anche un dovere, soprattutto nella nostra società in cui in quasi tutte le abitazioni si accumulano farmaci di diversa natura, e in cui troppo alta a volte è la tentazione di cercare le risposte nello smartphone che tutti noi portiamo appresso quasi fosse una imprescindibile estensione del nostro corpo. Il web è una fonte incredibile di informazioni, ma per poterle comprendere e per poter sapere come agire nel quotidiano è fondamentale saperle interpretare in modo corretto e completo. I professionisti sono, e devono essere, a disposizione di tutti.


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