Mai innocui, potenzialmente dannosi: qual è l’approccio migliore?
L’uso ed abuso dei farmaci è una delle questioni da sempre maggiormente dibattuta quando si parla di cura e approccio alla malattia; negli ultimi anni, la crescente diffusione dell’uso di rimedi terapeutici di origine naturale, erroneamente ritenuti del tutto innocui per loro stessa provenienza ed essenza, e la crescente fruizione di strumenti informativi di massa (non necessariamente validati scientificamente) ha amplificato significativamente questo dibattito.
E’ assolutamente certo che un farmaco deve essere usato in modo opportuno: infatti una sostanza, di origine naturale o sintetica, si definisce FARMACO se è in grado di interagire in modo specifico e differente con una o più parti dell’organismo determinando uno o più effetti, positivi (effetti farmacologici attesi) o negativi (eventi avversi, altrimenti detti effetti collaterali).
In questo articolo, con il termine FARMACO non faremo alcuna distinzione tra sostanze naturali e di sintesi: a mio parere la medicina è una sola, e da un punto di vista terapeutico si costituisce di diversi segmenti con caratteristiche ben precise sia a livello di azione che di reazione, ma non in antitesi fra loro: la questione è assai più complessa di quanto si possa pensare quindi non è decisamente il caso di addentracisi in questo contesto.
In realtà la sola distinzione che possiamo permetterci è tra l’approccio “allopatico” (quello della medicina cosiddetta tradizionale) e quello “omeopatico”: non mi addentro nel secondo filone non per poco interesse ma in quanto esula dalle mie competenze e conoscenze accademiche; vorrei invece condividere alcune riflessioni che prendono spunto dal titolo che ho scelto e dall’esperienza maturata in anni di lavoro.
Perché si sceglie di curarsi? Perché invece scegliere di non assumere farmaci nonostante le condizioni fisiche potrebbero suggerirlo? Fondamentalmente è opportuno iniziare una cura quando le condizioni fisiologiche di corretto funzionamento del nostro organismo sono alterate; probabilmente la scelta di non curarsi nasce dalla indisponibilità ad affrontare i possibili effetti avversi che l’azione farmacologica può generare come reazione non attesa o non gradita.
Spesso gli effetti avversi potenziali, descritti nei foglietti illustrativi, sono tanti da scoraggiare; addirittura si potrebbe quasi dire che scegliere di assumere un farmaco potrebbe quasi sembrare la scelta del “male minore”: dal semplice disturbo fino a vere e proprie malattie “iatrogene” (cioè indotte dal farmaco) la gamma di possibili effetti avversi è davvero molto molto ampia.
E’ evidente che, posta in questi termini, la scelta potrebbe apparire assai ardua: ha senso rischiare di procurarsi un male nel tentativo di star bene? La risposta più logica è dipende se le conseguenze avverse potenziali sono superiori al beneficio atteso o alle conseguenze di un progredire dello stato di malattia o di alterazione della corretta fisiologia (esempio tipico le malattie cardiovascolari croniche, cioè senza un evento acuto potenzialmente nefasto a monte) oppure no.
Qui entra in gioco il ruolo fondamentale del medico e del farmacista: ogni rimedio che possa avere effetti sulla fisiologia dell’organismo (quindi anche i prodotti naturali, anche gli integratori) ha potenziali effetti avversi ed interazioni con altre cure in atto, e questo deve essere valutato attentamente da un professionista del settore.
Da farmacista non mi permetto ovviamente di entrare nel merito delle cure prescritte dal medico: ci limiteremo ad affrontare la sfera dei farmaci di automedicazione, cioè quelli per i quali la legge non prevede alcun filtro o vincolo alla dispensazione e quindi alla assunzione.
Tale libertà di acquisto e assunzione è giustificata dalla ridotta gamma di potenziali eventi avversi; ma non sono farmaci innocui. L’esempio a molti noto è la gastrolesività dei farmaci antinfiammatori; altrettanto noto è quanto possa essere difficile e potenzialmente pericoloso curarsi un banale mal di schiena se si è contemporaneamente in terapia con anticoagulanti orali. Sono, questi, due banalissimi esempi; l’ambito delle potenziali interazioni è vastissimo e non ha senso addentrarcisi nello specifico.
Ora stiamo andando incontro alle malattie da raffreddamento: tra i farmaci da banco più diffusi ci possono essere fluidificanti o sedativi per la tosse, vasocostrittori per alleviare la sensazione di naso chiuso da raffreddore, rimedi per stati di raffreddamento contenenti antistaminici, pastiglie per il mal di gola contenenti zucchero, ecc..
Autodiagnosi, sfiducia nell’interlocutore, passaparola, cieca fiducia nei messaggi pubblicitari, esigenza di eliminare subito il fastidio e stare subito bene: queste alcune delle possibili cause di un abuso o, meglio ancora, di un uso improprio dei farmaci OTC (ovvero da banco, da un acronimo della definizione inglese).
E’ essenziale rivolgersi a un professionista, chiedendo un consiglio sul rimedio più indicato alla luce dei sintomi ma anche della propria condizione di salute e delle cure eventualmente in atto. Non si deve mai sottovalutare una potenziale interazione sottovalutata o dimenticata.
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